“La sapienza pratica è, in senso lato, conoscenza dell’inevitabile: di ciò che, dato l’ordine del nostro mondo, non potrebbe altro che accadere; e viceversa, di come le cose non possono essere, o non potrebbero essere state fatte; del perché, infine, alcuni schemi debbano finire in un fallimento completo – ed è inevitabile che sia così -, sebbene di tutto ciò non si possa dare una ragione dimostrativa, o scientifica. La rara facoltà di rendersi conto di questo, noi giustamente lo chiamiamo “senso della realtà”. È questo il senso delle “connessioni”, della necessità e della contingenza nella realtà; e va sotto molti nomi: introspezione, saggezza, genio ‘pratico’, senso della storia, comprensione della vita e del carattere umano. La visione di Tolstoj non è molto diversa. Salvo che egli spiega le nostre folli e esagerate pretese di capire e determinare gli eventi, non come sforzi insensati e sacrileghi, per vivere e agire, senza l’apporto di una conoscenza ‘speciale’ (e cioè, quella soprannaturale); ma le spiega col fatto che noi ignoriamo troppi degli innumerevoli rapporti naturali – le “cause minime” che determinano gli eventi. Se ni potessimo conoscere la trama delle cause, nella sua infinita varietà, dovremmo cessare di lodare e biasimare, gioire e dispiacerci; non potremo più considerare gli esseri umani eroi o esseri spregevoli: ma dovremmo sottometterci, molto umilmente, alla inevitabile necessità. Tuttavia, il fermarci qui sarebbe in certo senso travisare il suo pensiero. È pur vero che l’esplicita dottrina di Tolstoj in ‘Guerra e Pace’, è che tutta la verità sta nella scienza – nella conoscenza, cioè, delle cause materiali -, e che di conseguenza noi ci rendiamo ridicoli arrivando a delle conclusioni, sulla scorta di una troppo scarsa evidenza: siamo simili, per questo riguardo, e a tutto nostro svantaggio, ai sempliciotti di campagna, o ai selvaggi, che non essendo poi molti più ignoranti di noi, hanno tuttavia più modeste pretese; ma questa non è la visione del mondo che di fatto sta alla base di ‘Guerra e Pace’, o di ‘Anna Karenina’ o delle altre opere di questo periodo della vita di Tolstoj. Kutuzov è saggio, e non semplicemente intelligente, come – per esempio – lo sono quell’opportunista di Drubetzkoj, o di Bilibin; e non è vittima di teorie astratte, o dei dogmi come invece lo sono gli esperti militari tedeschi. Kutuzov è diverso da loro, ed è più saggio di loro – ma è tale, non perché conosca più ‘fatti’ di loro, e possa percepire degli eventi un numero di “cause minute” maggiore di quello dei suoi consiglieri o dei suoi avversari – Pfuel, Paulucci, o Berthier o il Re di Napoli. (…) Levin fa senza dubbio un’esperienza, durante il suo lavoro nei campi, come pure il principe Andrej mentre giace ferito sul campo di battaglia di Austerlitz; ma in nessuno dei casi c’è stata la scoperta di fatti nuovi, o di nuove leggi, come si intendono comunemente: al contrario, più grande è il numero dei “fatti” che uno conosce, più futile è la sua attività, irrimediabile il suo fallimento – come dimostra il gruppo dei riformatori alla corte di Alessandro. Loro, e tutti quelli come loro, possono essere salvati dalla disperazione faustiana solo dalla stupidità (come i tedeschi, del resto, e gli esperti militari e gli esperti in genere), o vanità (vedi Napoleone), o frivolezza (Oblonskj), o crudeltà (Karenin)” (pag 83-84) [Isaiah Berlin, ‘Tolstoj e la storia’, Lerici editore, Milano, 1959]
Kutuzov, ‘la sapienza pratica’ e ‘le “cause minime” che determinano gli eventi’
- Autore dell'articolo:Gianfranco Bozzano
- Articolo pubblicato:3 Giu 2025
- Categoria dell'articolo:ISC NEWS