Contro la ‘macchina della morte’, fraternizzazione dei soldati nella ‘terra di nessuno’

“Qualche settimana più tardi avevamo fatto ritorno in una zona tranquilla. La linea francese era avanzata, avvicinandosi alla nostra, ma entrambe le postazioni erano ben fortificate e proprio per questo, potrei dire, non succedeva niente. Puntualmente alle sette di ogni mattino l’artiglieria scambiava qualche sparo di saluto; poi a mezzogiorno c’era un altro piccolo scambio di colpi, e verso sera la consueta benedizione. Noi prendevamo il sole davanti alle trincee e la notte osavamo addirittura levarci gli stivali per dormire. Un giorno dal parapetto al di là della Terra di Nessuno spuntò un cartello con la scritta: «’Attention’!». Come puoi immaginare, restammo lì a fissarlo attoniti. Alla fine decidemmo che volevano solo avvisarci che ci sarebbe stata una razione extra d’artiglieria, in aggiunta al solito programma; così ci tenemmo pronti a rintanarci nelle trincee al primo sparo. Invece tutto rimase tranquillo. Il cartello sparì. Qualche minuto più tardi spuntò una vanga, e sulla lama riuscimmo a distinguere un grande pacchetto di sigarette. Uno dei nostri camerati che conosceva un po’ la lingua scrisse con del lucido da scarpe la parola ‘compris’ sul retro di una scatola di cartone. Alzammo la scatola. Allora, dall’altra parte, fecero ondeggiare il pacchetto di sigarette di qua e di là. Noi sventolammo la nostra scatola. Poi spuntò un pezzo di tela bianca. In fretta, allora, prendemmo la camicia dalle ginocchia del caporal maggiore Bühler che la stava spidocchiando, e la sventolammo. Dopo un po’ la tela bianca dall’altra parte si sollevò, e comparve un elmetto. Noi sventolammo ancora più forte la nostra camicia, tanto che ormai non doveva esserci rimasto più neanche un pidocchio. Spuntò un braccio, con in mano un pacchetto. Poi un uomo emerse lentamente e attraversò il filo spinato; strisciò verso di noi camminando sulle mani e sulle ginocchia, di tanto in tanto sventolava un fazzoletto e rideva eccitato. A circa metà della Terra di Nessuno si fermò e appoggiò il pacchetto per terra. Lo additò più volte, rise, fece cenno di avvicinarsi e strisciò indietro. Noi eravamo in uno stato di grande eccitazione. Oltre al gusto quasi fanciullesco di compiere qualcosa di proibito, la sensazione di farla in barba a qualcuno e il puro desiderio di entrare in possesso delle belle cose che avevamo lì davanti, c’era come un respiro di libertà, d’indipendenza, di trionfo su tutta la macchina della morte. Provai una sensazione di quando mi ero trovato in mezzo a quei prigionieri: come se qualcosa di umano irrompesse vittoriosamente nel semplice concetto di «nemico», e io volevo dare il mio contributo a questa vittoria. Cercammo in fretta dei regali, povere cose davvero perché avevamo molto meno da offrire rispetto ai compagni dall’altra parte. Poi ripetemmo in nostri segnali con la camicia e ricevemmo subito una risposta. Mi sollevai lentamente; la testa e le spalle erano allo scoperto. Fu un momento dannatamente terribile, te lo posso assicurare, stare là così esposto, fuori dal parapetto. Poi strisciai dritto davanti a me; e in quel momento i miei pensieri mutarono completamente, come se d’un tratto fosse stata inserita la retromarcia. La stranezza della situazione mi sopraffece: sentii crescere una gioia profonda ed esuberante; ridendo felice, avanzai rapidamente a carponi. E provai la sensazione di un prodigioso momento di pace, di una pace solitaria, privata, pace in tutto il mondo solo per me. Appoggiai le mie cose, accolsi le altre e strisciai indietro. E in quel momento la pace svanì. Ero nuovamente consapevole del fatto che un centinaio di fucili erano puntati sulla mia schiena. Una paura terribile s’impadronì di me e il sudore sgorgava come acqua da una sorgente. Però raggiunsi la trincea indenne e mi sdraiai a terra senza fiato” (pag 10-14) [Erich Maria Remarque, ‘Il nemico’, Arnoldo Mondadori editore, Milano, 1997]