“Rimaneva infine, anche per gli Esteri, da affrontare e risolvere il caso del vitale Canale di Suez. L’orientamento prevalente, fornito dal Consiglio nazionale delle ricerche in data 31 agosto 1940, non spingeva all’assunzione diretta del controllo: tuttavia Suez rappresentava ormai un obbiettivo, un mito nello sforzo bellico dell’Italia, e doveva essere perseguito nella sua soluzione massima, perché «circa 700 milioni di persone ne mantenevano le loro relazioni col mondo occidentale per mezzo del canale» (7). La situazione giuridica del canale era del resto complessa, ma di fatto, almeno dal 1936, il suo controllo era tenuto saldamente dall’Inghilterra, in base a una convenzione con l’Egitto (che avrebbe avuto durata sino al 1968), sì che essa poteva tenere nella zona del Sinai ben 10.000 soldati e controllare di fatto militarmente la zona. Vero era che il traffico navale britannico raggiungeva per tonnellaggio la metà del traffico totale in transito dal canale, ma dal 1935 il traffico italiano era notevolmente aumentato (ovviamente in seguito alla guerra d’Etiopia) e nel 1938 si era consolidato al secondo posto per tonnellaggio in transito, distanziando di gran lunga quelli della Germania, dell’Olanda e, infine, della Francia (queste le percentuali sul traffico totale: Inghilterra 50.1%, Italia 13.4%, Germania 9.0%, Olanda 8.8% e Francia 5.0%). Tuttavia anche nel transito di navi e materiale bellico, nonché del commercio e della navigazione libera, i dati stavano sensibilmente mutando, a favore dell’Italia, considerando che il traffico della marina commerciale battente bandiera italiana avrebbe potuto aumentare anche del 50% nel giro di pochi anni (…).
Il problema, per il Ministero degli Affari Esteri, era però quello di trovare «il modo di come l’Italia potesse assumere nel Canale una posizione predominante». E cioè se si dovesse optare a) per la sovranità dell’Italia; b) per la sovranità dell’Egitto con gestione comune italo-egiziana; c) per la sovranità dell’Egitto con gestione egiziana, ma con tecnici italiani, come nelle altre amministrazioni egiziane. Si trattava, in questo caso, di un problema politico di difficile risoluzione, perché fino alla scadenza delle concessioni (come detto il 1968), la Compagnia che gestiva il canale aveva tutti i diritti, in quanto la concessione, derivata dal governo egiziano, si fondava sul diritto egiziano, e, restando l’Egitto estraneo alla guerra, il trattato di pace non avrebbe potuto contenere disposizioni che comportassero un mutamento di tale situazione giuridica. (…) Di fatto il problema aveva una difficile soluzione, perché dal punto di vista del diritto internazionale il Canale era affidato a una compagnia privata, e quindi la risoluzione a vantaggio di Roma era molto difficile da conseguire, forse persino a dispetto del successo delle armi. Occorreva, insomma, “tagliare la testa al toro”, e ricordare che la questione aveva un carattere politico-strategico per l’impero, e che allora la «soluzione doveva non tener troppo conto della punta di diritto» (…)” (pag 196-198) [Giuseppe Pardini, ‘Mussolini e il “grande impero”. L’espansionismo italiano nel miraggio della pace vittoriosa (1940-1942)’, Edizioni Dell’Orso, Alessandria, 2016] [(7) Relazione del Consiglio Nazionale delle Ricerche, Roma 31 agosto 1940, in ASMAE, Affari politici, Italia, 1940, b. 70, fasc. ‘Canale di Suez’]