“L’eco delle fucilate di Montsou era giunto a Parigi e vi aveva suscitato un’enorme impressione. Da quattro giorni tutta la stampa dell’opposizione, indignata, dava in prima pagina sotto titoli vistosi terrificanti particolari dell’eccidio: quattordici morti, tra cui tre donne e due bambini; venticinque feriti; numerosi arresti; Levaque – cui s’attribuiva una risposta al giudice istruttore degna d’un antico – assurto a una specie di eroi. Per contro, il regime, colpito al cuore da quelle poche pallottole, affettava la calma dell’onnipotenza, senza rendersi conto neppur lui della gravità del colpo. Non si trattava che d’un increscioso conflitto d’interessi, scoppiato laggiù lontanissimo dalla capitale, senza conseguenze quindi sulla pubblica opinione; d’un incidente di scarso rilievo, che sarebbe stato presto dimenticato. In via ufficiale la Compagnia delle Miniere aveva ricevuto l’ordine di mettere la cosa a tacere e di por fine allo sciopero, il cui irritante protrarsi minacciava di diventare un pericolo sociale. Per cui, sin dal mattino del mercoledì, si videro giungere a Montsou tre amministratori della Società. La cittadina che, impaurita com’era, non aveva ancora osato compiacersi dell’eccidio, rifiatò: l’incubo, sotto il quale da un po’ viveva, stava per finire. Per l’appunto, il tempo s’era messo al bello; splendeva il sole, uno di quei primi soli di febbraio al cui tepore il glicine mette le prime foglie. Il palazzo dell’amministrazione, con tutte le finestre spalancate, pareva rivivere. Ne uscivano voci più rassicuranti: quei signori, quanto mai addolorati dell’accaduto erano accorsi, si diceva, per schiudere ai mal consigliati operai braccia paterne. Ora che il male era fatto al di là di quanto non ci si fosse augurato, i tre si prodigavano nel loro compito di salvatori; decretavano misure eccellenti, quanto tardive. Per prima cosa licenziarono gli operai assoldati nel Belgio – licenziamento che presentarono clamorosamente come la più grande concessione che potessero fare alle maestranze. Quindi sospesero l’occupazione militare dei pozzi – che gli scioperanti sconfitti non minacciavano più. Furono pur essi a ottenere il silenzio sulla sparizione della sentinella del Voreux; visto che, per quante ricerche si fossero fatte, né il cadavere né il fucile dello scomparso erano stati ritrovati, si decise di far passare il soldato per disertore, quantunque sussistesse il sospetto di un delitto. Quei signori insomma, nel timore del domani e giudicando pericoloso confessare l’irresistibilità di una folla scatenata attraverso le vacillante strutture del vecchio mondo, si adoperarono in tutti i modi per attenuare la portata dell’accaduto. Compito conciliativo, che non impediva in pari tempo a buon fine affari propriamente amministrativi; tant’è vero che s’era visto recarsi da loro Deneulin e abboccarsi con Hennebeau; l’ingegnere, si assicurava, stava per accettare le offerte dei tre e cedere Vandame. Ma ciò che impressionò di più il paese furono i vistosi manifesti gialli a caratteri di scatola: «Operai di Montsou! Noi non vogliamo che gli errori di cui avete avuto sott’occhio in questi ultimi giorni le funeste conseguenze, privino dei mezzi di sussistenza gli operai di buonsenso e di buona volontà. Lunedì mattina riapriremo pertanto tutti i pozzi; e, una volta che il lavoro sia ripreso, esamineremo con coscienza e benevolenza ogni situazione suscettibile di essere migliorata. Faremo insomma per voi tutto quello che sarà giusto e in nostro potere di fare». Per tutta la mattinata i diecimila operai delle miniere sfilarono davanti ai manifesti. Nessuno apriva bocca; molti scotevano il capo; altri venivano via strascicando il passo, senza che il viso avesse lasciato trasparire alcunché” (pag 465-467) [Émile Zola, ‘Germinale’, Editori Riuniti, Roma, 1958]
Lotta operaia nel XIX secolo: repressione e paternalismo
- Autore dell'articolo:Gianfranco Bozzano
- Articolo pubblicato:3 Feb 2025
- Categoria dell'articolo:ISC NEWS