“Anche nella descrizione di Parmenide si dispiega lo spettacolo miserando della vita corrente. Un mondo in cui vagano nell’incertezza (…) i mortali a due teste (…); anche qui il supremo distacco di un ‘lógos’ che Eraclito esprime ponendo tra l’ignorante e il sapiente una distanza analoga a quella che intercorre tra la scimmia e l’uomo, o tra il bambino e un uomo, tra l’uomo e un dio (14). Ma proprio là dove il saggio eracliteo presagisce e non afferra l’orizzonte di totalità entro il quale “tutto scorre” e il suo ‘lógos’ è pieno di passione, lo sguardo di Parmenide scopre un principio di ordine che genera una solidarietà di principio. Come in Parmenide, neppure la dialettica eraclitea permette di dire uno stato diverso da quello del pensare, né al pensare uno stato diverso da quello dell’essere (…). Ma la concezione eraclitea presuppone la necessità della contesa (nel senso ‘oggettivo’ del genitivo) collocandola ‘nel mondo’ così come l’esperienza ce lo offre e da lì la estende al dire e al pensare (15). Nel mondo agisce, ma non appare, il ‘lógos’ del mondo: nel ‘lógos’ del sapiente la ragione appare, ma non agisce. L’immagine del mondo elaborata dal sapiente 1) è dunque un’ ‘interpretazione’ perché proviene dal saggio e resta, con lui, in disparte; 2) tale interpretazione non può per principio essere ‘provata’ perché trova molte conferme analogiche ma ‘non appare insieme’ col mondo dato, anzi, il mondo dato (in Husserl, il ‘mondano’) è ciò in cui il ‘lógos’ del mondo, propriamente, si nasconde. Nella concezione parmenidea ‘il mondo esiste ed appare insieme al suo lógos’; vi è un parallelismo positivo tra il ‘lógos’ e il mondo. Anche qui il sapiente si tra “in disparte da tutto” per imboccare la via maestra della verità; ma la dialettica del mondo-tutto non è più un’esperienza abituale modellata dal mondo storico in cui sei nato e nel quale ti sei inconsapevolmente identificato, o un dato ovvio che tu possa applicare ‘geradehin’ (direttamente, ndr) al tuo pensiero e al tuo dire, bensì “la cosa stessa” o l’ “essenziale dell’ente”. La necessità della contesa (nel senso ‘soggettivo’ del genitivo, questa volta!) è qualcosa che ti ‘appare’ solo dopo che hai lasciato le tue abitudini, il mondo stesso in cui abitavi come uomo vivo, come pensante, come parlante. D’ora in poi, avendo rinunciato alla retorica di una parola che rimbomba, il tuo pensiero può essere vero, la tua parola poetica: nascono insieme la filosofia e la letteratura (e forse solo così puoi anche “cambiare il mondo”, invece di interpretarlo soltanto e di agire pestando l’acqua nel mortaio)” (pag 181-182) [Alfredo Marini, ‘Sei paragrafi su Husserl e Heidegger, Parmenide ed Eraclito, il tragico e la dialettica’, Aut Aut, n 223-224, 1988] [(14) Eraclito, op. cit., Frr. 30-32, 97 (82, 83, 53, 79); (15) Eraclito, op. cit., Fr. 53 (80): “giova sapere / che guerra è cosa comune / giustizia è contrasto / e nascita ha tutto / da contrasto e necessità] [ndr. nota (12): Eraclito, op. cit., Fr 48 (123): “natura ama occultarsi”; Fr VII (54): “armonia invisibile / superiore alla visibile”; Fr. LXIII (75): “chi dorme / opera e collabora / a ciò che avviene nel cosmo”; Fr. 16 (8): “ciò che discorda / si accorda / stupenda armonia / dal contrasto”] [“Eraclito al quale, in grossolana opposizione a Parmenide, si usa attribuire la dottrina del divenire, dice in verità la stessa cosa di lui” (M. Heidegger, Einl. in die Met., cap. IV, $ I, s.f.) (pag 169)]