Lingua e ‘Weltanschauung’

“Si può dire che tra due popolazioni che parlano lingue diverse esisterà con molta probabilità la coscienza di essere due popoli diversi. Al contrario, quando esiste un’omogeneità linguistica in una comunità, non sarà difficile che gli individui di quella comunità si sentano un unico popolo, una sola nazione. Non c’è sistema più efficace per sradicare i nazionalismi che eliminare le differenze linguistiche. Né esiste un sistema più efficace per incrementarli che mantenerle o accentuarle. È cosa ben nota a tutti i politici. Ci sono motivi profondi che spiegano la capacità che la lingua ha di differenziare o di unificare. La lingua è la finestra attraverso la quale l’uomo guarda il suo mondo. Conosciamo e apprendiamo la realtà mediante la lingua che i nostri genitori ci danno in eredità. Quando insegniamo a parlare a un bambino, non gli forniamo solo uno strumento di comunicazione con i suoi simili. Gli imponiamo anche una determinata analisi e interpretazione della realtà che lo circonda. La concezione che ciascun uomo ha del divino, dei suoi simili, delle relazioni familiari, del mondo, è profondamente radicata nella lingua materna in cui ha cominciato a parlare. Potremmo dire che se di un popolo conoscessimo soltanto la lingua e nient’altro, sicuramente potremmo in buona misura comprendere la mentalità, le credenze, le concezioni: in una parola la sua ‘Weltanschauung'” (pag 10, prefazione) [Francisco Villar, ‘Gli indoeuropei e le origini dell’Europa. Lingua e storia’, Il Mulino, Bologna, 2017]