‘Tra chi abbandonava i reparti di Kesselring vi erano però anche soldati tedeschi e austriaci, forse da sempre antifascisti…’

“Questa dimensione internazionale della lotta assume un significato ancora più marcato considerando l’arruolamento nella guerriglia anche di disertori dall’esercito tedesco, un fenomeno che, iniziato nei mesi primaverili, si protrasse poi fino alla liberazione. Nei ruolini redatti dai comandi partigiani al termine della guerra risultarono oltre 300 partigiani fuggiti da reparti tedeschi. Di questi circa 250 erano sovietici che, catturati durante l’invasione dell’Urss, avevano aderito alle truppe naziste in gran parte per lasciare le atroci condizioni dei campi di prigionia, ma talvolta anche per ostilità antisovietiche. Tra di loro, infatti la maggioranza era russa ma vi erano anche georgiani, ucraini, bielorussi e soldati originari delle regioni musulmane più orientali (24). Per loro, come per i fuggitivi di altre nazionalità (polacchi, francesi, olandesi e jugoslavi) che avevano fino a quel momento combattuto per il Terzo Reich, era ora possibile un’occasione di riscatto. Tra chi abbandonava i reparti di Kesselring vi erano però anche soldati tedeschi e austriaci, forse da sempre antifascisti oppure prima illusi dal nazionalsocialismo e ora disgustati dalle sue guerre. Nel loro insieme, quindi, questi fuggitivi costituivano anche una simbolica immagine della crisi dell’Europa hitleriana che, frastornata dalla violenza, maturava o riprendeva percorsi di opposizione antinazista. Solitamente i disertori, per ovvi sospetti, venivano a lungo tenuti sotto controllo dei comandi partigiani e per prudenza distribuiti tra i diversi distaccamenti. Ci furono però anche rari casi in cui poterono organizzarsi in propri gruppi, come i due distaccamenti “Voroscilov I” e “Voroscilov II”, inquadrati nella 3ª Julia, composti da sovietici e comandati dal ventisettenne georgiano Nicolai Esaria. Il fenomeno dei disertori passati alla Resistenza era motivo di grave preoccupazione per tedeschi e fascisti, poiché i partigiani avevano la possibilità di impiegare combattenti che non solo indossavano le loro uniformi ma ne conoscevano anche la lingua e la prassi militare” (pag 224-225) [M. Becchetti, W. Gambetta, M. Giuffredi, I. La Fata, G. Pisi, ‘Una stagione di fuoco. Fascismo guerra resistenza nel Parmense’, Edizione BFS, Pisa, 2021] [(24) M. Minardi, Disertori alla macchia. Militari dell’esercito tedesco nella Resistenza parmense’, Bologna, Clueb, 2006, p. 27 e ss.]