Da Eraclito Hegel prende l’idea del divenire, della fluidità, unendo tutto in tre momenti: quello astratto, quello dialettico, quello speculativo

“Cos’è che determina questa essenza provocatoria della filosofia di Eraclito? Indubbiamente sono i suoi contrasti con la più autentica presenza filosofica che la precede nel tempo, quella di Parmenide. Da un lato, Parmenide e la sua filosofia del silenzio e dell’identità di pensiero ed essere in cui Hegel stesso ravvisa l’essenza della filosofia. Dall’altro, c’è Eraclito con il suo discorso, la sua antitesi, il suo ‘bavardage’ (come dice Kojève), il suo nominalismo, il suo scetticismo, il suo relativismo, il suo «scientismo». Da un lato ancora c’è Platone, con l’idea immediata che si fa di Eraclito, come ce lo descrive nel ‘Teeteto’, nel ‘Sofista’, in ‘Cratilo’: nominalista, scettico, sofista, scientista e terribilmente ambiguo e, quindi, molto attuale. Ma se prendiamo l’avvio, per necessità del discorso, dall’idea di provocazione, è necessario fissare il primo termine del contrasto. Il pensiero di Eraclito è l’antitesi del pensiero di Parmenide, ed è qualcosa di più, qualcosa di più che in definitiva non è se non la filosofia; qualcosa di più che rende discutibile l’affermazione di Heidegger, quando dichiara (sia nel suo ‘Vorträge und Aufsätze’ del 1954, sia quando si occupa del ‘logos’ di Eraclito, sia nel 1967 quando dirige il Seminario di Friburgo su Eraclito) che l’incontro di oggi con Eraclito non è che l’incontro di un momento che non ha più una metafisica, un momento aurorale. Per Hegel, invece Eraclito è l’inventore del discorso, della sapienza discorsiva, che non è più silenzio come in Parmenide, bensì parola. Questo discorso interrompe il silenzio eleatico e offre lo schema dialettico della storia della filosofia, attraverso l’antitesi filosofica. Fra la tesi (Parmenide), l’anti-tesi (Eraclito), due elementi essenziali del discorso filosofico che appartengono, secondo l’espressione stessa di Platone, a due grandi sconosciuti (Parmenide ed Eraclito), si insinua la paratesis (platonica, aristotelica, kantiana) la quale fa sì che Hegel steso confonda l’antitesi nella sua ‘Storia della filosofia’ con la sintesi per affermare che la sua logica è tutta eraclitea e che Eraclito è «il più grande filosofo fra tutti quelli che lo hanno preceduto» (Kojève). Questo modo di affrontare in termini dialettici la storia della filosofia susciterebbe una discussione interminabile intorno alla «tesi della filosofia» che identifica il concetto con l’eternità; la paratesis «che tenta di definirlo come eterno» la sintesis «che lo definisce identificandolo con il tempo come tale o come spazio-temporalità» (Kojève). Ma «se la filosofia di Eraclito vuol essere l’antitesi della filosofia, essa non deve né rappresentare il concetto come eternità né rappresentarlo come tempo o come eterno» (Kojève). (…)
È Hegel il primo ad affermare che Eraclito fu lo scopritore della dialettica come principio, superando Parmenide e facendo un passo avanti. Così spiega le idee di Eraclito, oggi, Kojève. Così continua ad apparire oggi Eraclito nella storia della filosofia: scopritore del ‘logos’, scopritore del principio dialettico, scopritore dell’idea filosofica nella forma speculativa. (…)
Per quanto riguarda la via seguita da Hegel, la sua relazione con Eraclito è dialettico-speculativa. La famosa frase contenuta nelle sue ‘Lezioni sulla filosofia della storia’ è la seguente: «Non c’è una sola proposizione di Eraclito che non abbia già accolto nella mia ‘Logica’». Metodo dialettico, metodo speculativo: identità fra pensiero ed essere. Ma quando accenna ai contrari di Eraclito, Hegel lo fa per mezzo della dottrina delle categorie immediate. Perché Hegel «interpreta tutta la filosofia greca partendo dal livello dell’immediatezza e vede tutto sotto l’aspetto logico» (Heidegger). Da Eraclito Hegel pretende anche di prendere l’idea del divenire, della fluidità, unendo tutto in tre momenti: quello astratto, quello dialettico, quello speculativo.” (pag 105-109) [George Uscatescu, ‘Dialogo con Eraclito’, Nuova Antologia, Roma, n. 2081, 1974, pag 105-112]