Il dissidio di Gobetti con Mondolfo. Gobetti si affida al linguaggio immediato dei fatti, alla concretezza della lotta politica

“Era qui anche la radice del dissidio con Rodolfo Mondolfo, che aveva studiato «a lungo il materialismo storico, ma, quando dalla speculazione scende alla critica politica, non mostra alcuna fiducia nelle masse e nei suoi piani e nei suo calcoli si occupa soprattutto delle classi medie» (39). Il rilievo coinvolge due modi di valutare i compiti del proletariato davanti al fascismo, alla rivoluzione russa e al bolscevismo, né risparmia la saggezza parlamentare da talpe, l’ignoranza della dialettica rivoluzionaria, del partito socialista. Non ci si lasci fuorviare dal rigore di tale obiezioni, e non si dimentichi che l’approccio di Gobetti a Marx è a sua volta non poco discutibile e dilettantesco. In vari luoghi egli cita bensì con sprovvedutezza le «macchinose costruzioni economiche dell’autore del ‘Capitale’, sicuro che «l’economista è morto, con il plusvalore, con il sogno della abolizione delle classi, con la profezia del collettivismo» (40). Permane il rifiuto della critica marxiana della ‘economia politica’, nel quadro della chiusura ai principi del collettivismo assimilato al ‘socialismo di Stato’. In assenza di un’educazione idonea a comprendere la realtà in movimento, e nella ripulsa degli strumenti gnoseologici del marxismo, Gobetti si affida al linguaggio immediato dei fatti, alla concretezza della lotta politica, criticando la linea collaborazionista dei giolittiani, che riducono il liberalismo a un’arte di governo, un espediente di moderazione, una «diplomazia per iniziati» (41). La scienza dei liberali, invischiata nelle astrazioni organicistiche, non postula altri principi relativi fuori della «gretta religione della patria e dell’interesse generale». Il saggio crociano su ‘Il partito come giudizio e come pregiudizio’, in cui «la scoperta più arguta era la barzelletta d’apertura, dei partiti politici come generi letterari», compendiava i sospetti e le preclusioni del conservatore meridionale verso «le esagerazioni e le degenerazioni così degli astrattisti come dei materialisti della politica». Parimenti, la distinzione di teoria e pratica dimostrava l”errore’ di considerare la lotta di classe un concetto logicamente assurdo, anche se Gobetti accoglieva le obiezione dei neoidealisti italiani alla ‘filosofia della storia’ di Marx e all’«illusione messianica, di natura mistica e hegeliana, di un’abolizione finale delle classi» (42)” (pag 122-123) [Giancarlo Bergami, ‘Da Graf a Gobetti. Cinquant’anni di cultura militante a Torino (1876-1925)’, Centro Studi Piemontesi, Torino, 1980] [(39) P. Gobetti, ‘La nostra cultura politica’, cit.; (40) P. Gobetti, ‘L’ora di Marx’, “Libertà!”, 1° aprile 1924, p. 3; ora in P. Gobetti, ‘Scritti politici’, cit., p. 640; (41) P. Gobetti, ‘Il liberalismo e le masse’, “La Rivoluzione Liberale”, 10 aprile 1923, p. 37; ora in op. cit., p. 477; (42) P. Gobetti, ‘La rivoluzione liberale’, cit., p. 50]