“Sembrava, ad alcuni osservatori sereni, che si riformassero in Indocina tutte le forme di privilegio, di casta, di sfruttamento, che la Rivoluzione francese aveva voluto distruggere, coll’aggravante del razzismo. Strana imprudenza per una nazione che conosce la dinamica rivoluzionaria, lasciare senza possibilità di impiego costruttivo le energie di un popolo soggetto, ma a forte coesione nazionale, che domanda insistentemente di non essere escluso dalle decisioni sul proprio destino; tanto più che il suo orgoglio di razza è costantemente ferito (13). A partire dal 1922, e sempre più col passar degli anni, la minaccia di una penetrazione comunista, sbandierata soprattutto dalla stampa coloniale, rafforzò il clima poliziesco. I coloniali si servivano dello spettro bolscevico per intorbidare il dialogo con i Vietnamiti moderati, facendoli figurare come avanguardie di Lenin. La stampa vietnamita, da parte sua, faceva timidamente presente come la testardaggine dei dominatori nel non voler concedere un regime almeno analogo a quello che gli Americani stavano concedendo alle Filippine avrebbe finito per avvicinare il popolo vietnamita alle teorie comuniste; anche se per il momento non erano preparati a comprendere questo nuovo vangelo politico, i Vietnamiti le avrebbero accolte con entusiasmo, come qualsiasi altra teoria che promettesse di portare aiuto alla miseria crescente. Gli stessi giornali trovavano modo di mettere al corrente i loro lettori della nuova tattica politica che Lenin intendeva dare alla propaganda sovietica in Asia. Agli inizi del 1922 si era aperto a Mosca il congresso dei popoli d’Estremo Oriente. La III Internazionale voleva estendere ai popoli sotto regime coloniale l’appello già rivolto ai proletari di tutto il mondo, facendo convergere la lotta di classe nel mondo occidentale con i movimenti di emancipazione nazionale nei paesi coloniali. Da parte comunista non si escludeva quindi la possibilità di unirsi, nei paesi più arretrati, alle correnti democratico-borghesi che lottavano contro l’imperialismo. Doveva essere la fase intermedia prima di giungere alla predicazione del comunismo alle masse indiane e cinesi. Per il momento si trattava di staccare quei paesi coloniali, in cui si risvegliava il sentimento nazionale, dalla dominazione degli stati borghesi. Nella dialettica successiva le colonie sarebbero state l’asse della rivoluzione mondiale. Per quanto riguardava la possibilità di penetrazione del comunismo nel Vietnam, la stampa vietnamita non esitava a mettere in evidenza come uno spiccato collettivismo fosse già ben radicato nel diritto vietnamita, nel comune, nelle strutture sociali ed economiche. Lo spirito confuciano, col suo culto del bene pubblico, non si sarebbe opposto ad una predicazione intensiva del comunismo nel Vietnam” (pag 158-160) [Stelio Marchese, ‘Le origini della rivoluzione vietnamita (1895-1930)’, La Nuova Italia, Firenze, 1971] [(13) Su questi problemi sociologici, P. Devillers, ‘Histoire du Vietnam de 1940 à 1952’, Paris, 1952, p. 41 ss.]