Ai profughi di ogni tempo e luogo

‘Donne, bambini, anziani: sono gli attori di un dramma ormai al centro di nuova attenzione, protagonisti di un fermo-immagine che comunica incredulità, rassegnazione, dignità. Quadro-icona dell’esilio ottocentesco, I Profughi di Parga di Francesco Hayez racconta l’abbandono forzato del luogo natale e il trauma collettivo e individuale dello sradicamento. Ma i gesti, gli sguardi smarriti che ci catturano in questo dipinto si fanno oggi carne viva, coinvolgendo lo spettatore dei nostri giorni come quello di allora, poiché sono gli stessi, di quelli a noi così familiari, dei profughi afghani e ucraini, e di coloro che a centinaia sbarcano sulle coste delle nostre isole’ (quarta di copertina). “Al tempo di Hayez le partenze dei profughi sono prevalentemente imbarchi su navi – volontari o coatti – oppure fughe via terra, a piedi o con mezzi di fortuna. Le direttrici dell’esilio, se si escludono destinazioni nel continente come la Svizzera, il Belgio, la Francia o l’Inghilterra, sono opposte a quelle dei nostri giorni, vanno cioè dall’Europa verso hub insulari quali Corfù e Malta, e raggiungono spesso la sponda del Nord Africa: l’Algeria francese, oppure l’Egitto e la Tunisia, territori ancora legati alla Porta ottomana. Alcuni Stati come l’Impero asburgico e lo Stato Pontificio prevedono persino la deportazione a vita negli Stati Uniti o in Sud America, una strategia pensata per recidere i legami affettivi e materiali dei nemici politici, espellendoli così dal consorzio civile europeo. Spesso salpare e abbandonare tutto per cercare di salvare la vita può voler dire essere catturati in mare e conoscere mesi di detenzione prima di tornare ad errare nel Mediterraneo in cerca di un approdo: è quanto accade ad alcuni tra i profughi dei moti dell’Italia centrale del 1831 – lo stesso anno in cui Hayez espone a Brera – imbarcatisi ad Ancona sull’ ‘Isotta’, una nave malmessa battente bandiera pontificia, subito intercettata da una corvetta austriaca al comando dell’ammiraglio Francesco Bandiera e condotti in carcere a Venezia. Da qui, verranno nuovamente imbarcati con destinazione Marsiglia, correndo il rischio di essere in realtà trasportati in Algeria” (pag 98-99) [Arianna Arisi Rota, ‘Profughi’, a cura di Massimo Cacciari, Il Mulino, Bologna, 2023, collana Icone]