Lo scrittore Hochhuth ha messo in scena una catastrofe generale nella tempesta dell’ultimo conflitto mondiale

“Hochhuth indica i responsabili diretti che appartengono alla politica, all’esercito, all’industria e porta sulla scena quelli che, a suo giudizio, sono, se non proprio i responsabili indiretti, i complici passivi della vergogna nazista e fra questi la figura più alta per l’impegno morale della sua carica Pio XII. Inutile aggiungere che questa è stata la scintilla vera dello scandalo. Aveva il diritto Hochhuth di arrivare a queste ragioni e, ancora, il suo giudizio è soltanto frutto di spirito polemico oppure deriva da un sentimento di condanna, non giustificabile, non documentato? Direi che la seconda parte della domanda non c’interessa, visto che il punto vero della questione è un altro, cioè: è possibile restare in silenzio di fronte allo spettacolo, e che spettacolo, del male? È chiaro che qui non si tratta più né di persone né di comportamenti particolari. Così come ci appare questione secondaria un’altra parte del problema che pure ha costituito tema di grandi discussioni, la misura e il dosaggio della resistenza al male. Mettere l’accento sull’efficacia o sull’inefficacia delle misure adottate dalla Chiesa nel corso dell’ultimo conflitto mondiale è un fatto che riguarda piuttosto il libro della politica ma in nessun modo può essere portato nei conti del primo problema, che resta quello del male. Del resto, non è stato Hochhuth a sollevare la questione che – se ricordiamo bene – aveva angustiato gli spiriti più vivi durante la guerra e che in seguito Camus e Mauriac avevano – sia pure in modi diversi – ripreso per proprio conto. (…) Ecco perché fra le tante definizioni che si sono date del ‘Vicario’ questa di «dramma cristiano» ci sembra una delle più giuste. Anche perché, a nostro avviso, nel termine c’è compreso l’altro di «umano»: Hochhuth infatti ha messo in scena una catastrofe generale e non va dimenticato che nel vento della tempesta tutte le figure tendono ad assomigliarsi e riesce molto difficile fare la parte giusta, scegliere i colpevoli veri dagli altri, da chi cede al male e si nasconde sotto il silenzio. Chi ha vissuto allora sa quanta parte abbiamo riservato al silenzio, pur puntando sulla resurrezione e sul riscatto. Hochhuth con questo suo teatro politico o di rottura obbedisce in fondo a un altro disegno: la rappresentazione della vergogna dovrebbe servire da stimolo, dovrebbe essere una medicina per tutti i tempi; anche perché il male ha sempre origini lontane e il tragico destino della Germania e dell’Europa fra il trentanove e il quarantacinque era cominciato molto prima, nella guerra si era soltanto perfezionato. Non diamo, dunque, per chiusa la questione, non trasferiamola nelle accademie e neppure lasciamola come tema di discussioni. Il male non è morto con la fine della guerra e le occasioni di tacere si sono ripetute, si ripetono ancora oggi: contro la realtà paradossale illustrata da Hochhuth c’è un’altra realtà ridotta, c’è un altro teatro personale ma ugualmente importante e decisivo, per cui ognuno di noi vive fra le suggestioni del male, il ricorso al silenzio e la tentazione dell’oblio” (pag 13-14) (Carlo Bo, prefazione) [(in) Rolf Hochhuth, ‘Il Vicario. Dramma in cinque atti. (Tit. orig. Der Stellvertreter)’, Feltrinelli, Milano, 1964]