“Nel suo discorso del 3 ottobre 1941 allo Sportpalast, Hitler definì per la prima volta la guerra contro la Russia uno sforzo dell’Europa sotto la guida della Germania. «Nelle file dei nostri soldati tedeschi – egli disse – marciano, facendo causa comune con loro, italiani, finlandesi, ungheresi, romeni, slovacchi e croati; adesso entrano in guerra gli spagnoli, i belgi, gli olandesi, i danesi, i norvegesi e perfino i francesi hanno aderito a questo grande fronte» (80). Da questo sforzo comune contro il comunismo, sembrava sostenere Hitler, sarebbe emersa un’Europa nuova e migliore. L’idea di un Nuovo ordine in Europa era molto in voga nei primi anni della crociata contro la Russia, ed era molto popolare sia presso gli ideologhi dell’NSDAP che presso i simpatizzanti nazisti dell’Europa occidentale, come Pierre Laval in Francia e Anton Mussert in Olanda, che vedevano in essa una ragione e una promessa di progresso. La quantità di retorica che veniva profusa sul Nuovo ordine era impressionante. Il capo della stampa Otto Dietrich, nel corso di una conferenza a Praga, nel 1941, disse che il Nuovo ordine si sarebbe basato «non sul principio di una posizione di privilegio per alcune nazioni, ma sul principio di eguali possibilità per tutte», in un ordinamento delle nazioni «fondato sulla razza ma organicamente costituito» (81). Il principale teorico di questo movimento, il brutale governatore generale della Polonia, Hans Frank, nel corso di una conferenza nell’aula dell’università di Heidelberg nel luglio 1942, tracciò lo schema di un «unito e reciproco cameratismo dei popoli europei (…) una specie di utile compromesso tra gli interessi, le forze e le esigenze dei singoli popoli», liberati dal vecchio predominio delle potenze mondiali anglo-sassoni e tesi a un indipendente e autarchico sviluppo, sotto la protezione del grande Reich tedesco di Adolf Hitler, che avrebbe «promosso in tutti i modi la cultura dell’Europa e dato ai suoi popoli un amichevole appoggio». Il commissario del Reich per l’Olanda occupata, Arthur Seyss-Inquart, parlò di uno ‘Staatenbund’ nel quale sarebbe stata anche concessa ai sudditi degli Stati membri una cittadinanza confederata, che avrebbe dato loro il diritto di operare economicamente e politicamente in ogni luogo della comunità (82). Circolavano persino voci che, riecheggiando il discorso di Hitler, proclamavano: «Oggi le SS si stanno trasformando in un’indissolubile comunità di giovani europei» (83). Non esiste comunque la minima prova che Hitler stesso intendesse dar corpo a queste nebulose asserzioni. L’unica volta in cui egli parlò con una certa chiarezza di questo argomento, in un incontro con i Reichsleiter e i Gauleiter, nel 1943, dette a questi sostenitori di una nuova comunità una risposta piuttosto vaga. Secondo Goebbels, egli dichiarò: «Tutte le sciocchezze sulle piccole nazioni vanno liquidate al più presto. Scopo della nostra lotta deve essere di creare un’Europa unita, e solo i tedeschi possono realmente organizzare l’Europa (…). In pratica, noi siamo oggi l’unica potenza del continente europeo capace di governare (…). Il Führer esprimeva così la sua incrollabile convinzione che il Reich avrebbe dominato tutta l’Europa» (84). Queste frasi erano di scarsa consolazione per i collaborazionisti, come, ad esempio, Laval, il quale riteneva che la Francia, «da sempre il paese dell’intelligenza», avrebbe avuto una posizione privilegiata nel nuovo ordinamento (85), o come Erik Scavenius, al quale era dovuta l’entrata della Danimarca nel patto anticomintern, e che sembrava credere che l’affinità della razza nordica con la potenza dominante avrebbe dovuto avere un certo peso» (86). Ma in un’Europa riorganizzata da un Hitler trionfante, la Germania non avrebbe avuto pari e anche l’altro socio dell’Asse non poteva sperare di essere altro che uno Stato satellite. In attesa della futura vittoria, Hitler non fece alcun tentativo di dare un assetto razionale al continente e il tipo di controllo imposto dai tedeschi variava da paese a paese. Era esercitato nella sua forma più indiretta, pur conservando sempre un certo peso, nei paesi ancora neutrali, come la Spagna, il Portogallo, la Svizzera, la Svezia e la Turchia; e finché le sorti della guerra non si volsero definitivamente contro la Germania, i governi di questi paesi furono costretti a procedere con cautela, evitando di suscitare la disapprovazione del Führer, cosa che li privò completamente del controllo della propria politica. Infatti, quali che fossero le loro simpatie, non gli era consentito di aderire alla richiesta degli Alleati di ridurre le consegne alla Germania di materiali come, ad esempio, il tungsteno e il cromo.
Nel 1941 l’Italia, i tre Stati danubiani, Ungheria, Romania e Bulgaria, e la Finlandia erano tutti Stati indipendenti, alleati della Germania, sebbene nei primi due casi l’indipendenza apparisse molto fragile. Infatti, quando, nel dicembre 1940, Mussolini chiese aiuto a Hitler per superare le difficoltà in Grecia e in Africa, il Führer glielo concesse ma a condizione che da quel momento in poi i funzionari tedeschi avessero voce in capitolo nel determinare le esigenze dell’Italia. Nel 1941 si verificò una progressiva penetrazione nel paese dei tecnici, consiglieri militari e economisti tedeschi, e di agenti della Gestapo. Inoltre, poco tempo dopo, l’arrivo in Sicilia di un distaccamento della Luftwaffe, gettò le basi di quella che, dopo la caduta di Mussolini nel 1943, divenne un’occupazione militare (87). Molto simile fu il destino dell’Ungheria” (pag 794-796) [Gordon Craig, ‘Storia della Germania 1866 – 1945. II. Dalla rivoluzione fallita al crollo del Terzo Reich, 1918-1945’, Editori Riuniti, Roma, 1983] [(81) G. Wright, Total War, cit. p. 140; (82) H.A. Jacobsen, Der Zweite Weltkrieg, cit, pp. 189-193; (3) Le Waffen-SS che, note come guardie private di Hitler, furono integrate dopo il 1933 dalla creazione delle Squadre di azione politica, che dirigevano i campi di dissidenti, e dai Distaccamenti delle Teste di Morto,che dirigevano i campi di concentramento, dopo il 1940 aumentarono rapidamente di numero al punto di diventare, contrariamente all’iniziale concetto del Führer, una quarta sezione della Wehrmacht. Ma intanto i principi di omogeneità razziale che erano stati alla base dell’organizzazione avevano perso a poco a poco la loro importanza, così che, nel 1945, nessuna delle 38 divisioni era esclusivamente tedesca, e almeno la metà erano composte di stranieri. Vedi G. Stein, Waffen SS, cit-, pp. 138 sgg., 168 sgg.; (84) ‘The Goebbels Diaries, 1942-1943’, ed. e trad. da Louis P. Lochner, New York, 1948; p. 357; (85) Vedi il suo discorso alla radiodel 20 aprile 1942 in H.A. Jacobsen, ‘Der Zweite Weltkrieg’, cit, pp. 187 e sgg.; Nel settembre 1942 egli disse: «Sfido chiunque (e l’ho già detto ai tedeschi) a costruire un’Europa solida, articolata e vitale senza il consenso della Francia» (G. Warner, ‘Laval’, Londra, 1968, p. 295; (86) Sul rifiuto da parte del popolo danese della politica collaborazionista di Scavenius vedi R. Petrov, ‘Bitter Years’, New York, 1974, pp. 190-196; (87) E. Wiskemann, ‘Rome-Berlin Axis’, cit, pp. 284 sgg.]