1882: nasce a Milano il Partito Operaio che rivendica una piena autonomia e si sottrae all’egemonia della borghesia radicale

“Ma proprio nel momento in cui sembrava rafforzarsi la sua posizione di ‘leader’ politico [ Felice Cavallotti, ndr], nuove difficoltà sorgevano all’orizzonte a intralciarne l’azione. Appariva infatti sempre più chiaro che ormai egli doveva combattere su due fronti: non solo contro i moderati e il governo Depretis e i metodi del trasformismo, ma anche alla sua sinistra contro i movimenti operai e socialisti che intendevano sottrarsi alla tutela e all’egemonia della borghesia radicale, e in particolare contro il più attivo e «pericoloso» di questi movimenti, il Partito Operaio. Questo era sorto (come già si è accennato) nel 1882 a Milano, per iniziativa del ‘Circolo operaio milanese’. Esso era caratterizzato da un rigido esclusivismo operaistico: ne potevano far parte solo i lavoratori manuali dipendenti, i salariati. Di qui il suo «duro, quasi settario classismo», la sua intransigenza. Alla radice del dissidio che ben presto si rivelò tra il Partito Operaio e i radicali c’era la rivendicazione di una piena autonomia di classe. Se nel 1882 esso si era presentato alle elezioni con una propria lista, non tanto per conseguire concreti risultati quanto per coerenza di principi, e i radicali, data la sua esiguità, non se ne erano preoccupati, le cose erano mutate negli anni seguenti, allorché esso accrebbe le sue forze e accentuò la sua insofferenza di qualsiasi commistione o tutela borghese, e promosse la fondazione della ‘Lega dei figli del lavoro’, la pubblicazione di un battagliero giornale, il «Fascio Operaio», la sua trasformazione in Partito Operaio Italiano, esteso via via in altre province e regioni, il congresso di Mantova del 1885 – dove si deliberò la sua fusione con la Confederazione operaia lombarda, sotto l’egida del primo, il che costituiva una secca sconfitta per i radicali, che per anni avevano avuto la maggioranza in seno alla Confederazione -, e una vasta propaganda nelle campagne del Mantovano, ancora agitate dagli scioperi recenti. I radicali erano sempre più turbati e irritati da questa defezione, che a loro sembrava quasi una rivolta e un tradimento. Il loro risentimento era tanto più vivo in quanto, con l’avvicinarsi delle elezioni del 1886, si profilava, a tutto loro danno, una temibile concorrenza, non tanto perché il Partito Operaio Italiano fosse in grado di far eleggere alcuno dei suoi candidati, quanto per i molti voti che avrebbe sottratto alle liste radicali” (pag 484-485) [Alessandro Galante Garrone, ‘Felice Cavallotti’, Utet, Torino, 1976]