“La pittura ora, in quanto più delle altre arti figurative attribuisce alla figura ed al carattere particolari il diritto di comparire, per sé, è molto incline a passare al ‘ritratto’ vero e proprio. Sarebbe perciò molto ingiusto condannare la ‘pittura di ritratti’ come non adeguata all’alto fine dell’arte. (…) Ma perché il ritratto sia un’autentica opera d’arte deve essere espressa in esso, come ho già detto, l’unità dell’individualità spirituale. Contribuiscono a ciò benissimo tutte le parti del viso, e il fine senso fisionomico del pittore porta ad intuizione la peculiarità dell’individuo appunto per il fatto che egli coglie e mette in rilievo quei tratti e quelle parti in cui questa peculiarità spirituale si esprime con la più chiara e pregnante vitalità. A questo riguardo un ritratto può essere molto fedele ed accurato nell’esecuzione e tuttavia essere senza spirito, mentre uno schizzo tirato giù con pochi tratti da mano maestra può essere infinitamente più vivo e di verità sorprendente. Ma un simile schizzo nei tratti propriamente significativi e indicativi deve portare a rappresentazioni l’immagine fondamentale, semplice ma totale, del carattere, che quell’esecuzione meno ricca di spirito e quella fedele naturalità non riescono a farci vedere se non pallidamente. La cosa migliore a tale riguardo è seguire il giusto mezzo fra lo schizzo e l’imitazione fedele della natura. Di tal genere sono, per es., i magistrali ritratti di Tiziano. Essi si presentano così individuali e ci danno un concetto di vitalità spirituale come non possiamo trovare in una fisionomia reale. Avviene qui la stessa cosa che per la descrizione di grandi gesta o eventi a noi tramandati da uno storico veramente artista, il quale ci traccia un’immagine di questi eventi molto più elevata e più vera di quella che avremmo noi stessi se vi avessimo direttamente assistito. La realtà è sovraccarica dell’apparente come tale, di cose secondarie e di accidentalità, cosicché gli alberi spesso ci nascondono la foresta, e sovente le cose più vera di quella che avremmo noi stessi se vi avessimo di quotidiano” (pag 965-966) [G.W.F. Hegel, Estetica, vol. II, a cura di Nicolao Merker, Einaudi, Torino, 1972]