“La sede del Reichstag viene incendiata il 27 febbraio del 1933, al culmine di una violenta campagna politica. Poco dopo, Marinus van der Lubbe, un olandese disoccupato e di limitata capacità di intendere e di volere, viene arrestato vicino al luogo dell’incendio (1). Del fatto i nazisti accusano subito i comunisti, i quali, a loro avviso, avevano incendiato la sede del parlamento per dare un segnale di sommossa. Questa versione non ha però trovato alcun riscontro nei fatti, anzi è stata smentita dalle risultanze processuali. Molto più plausibile, invece, la versione secondo la quale ad applicare l’incendio erano stati proprio in nazisti, per poter poi accusare i comunisti ed emanare i decreti di emergenza (2). Oggi gli storici sono concordi nell’escludere ogni responsabilità comunista. Restano, quindi, due alternative: 1) iniziativa di Marinuns van der Lubbe; 2) iniziativa (la più probabile) dei nazisti. «La velocità con la quale i nazisti hanno utilizzato l’incendio a proprio vantaggio – argomento Müller – suggerisce che la retata contro gli oppositori politici dei nazisti, avvenuta la stessa notte dell’incendio, era stata preparata in precedenza, mentre il quesito classico sull’ ‘a chi giova’ porta ovviamente in direzione dei nazisti». L’incendio, infatti, ha offerto ai nazisti l’occasione per abolire l’odiata democrazia parlamentare. ‘Last but not least’, è da ricordare che i nazisti avevano organizzato tutti i precedenti ‘putsch’ cercando sempre di ammantarli della necessità di prevenire la rivoluzione comunista. «Fossero loro o meno dietro l’incendio, esso era il segnale dai nazisti da lungo tempo atteso per mettere in esecuzione i loro piani». La sede del parlamento è stata incendiata nel pomeriggio del 27 febbraio. La stessa sera le sedi comuniste sono state occupate e sequestrate e i ‘leader’ comunisti sono stati arrestati. Con tempismo estremo, nella notte del 27 febbraio è stato stilato il decreto «Per la protezione del popolo e dello Stato». Il decreto (pubblicato il 28 febbraio) conferisce ai nazisti drastici poteri per restringere le libertà civili e schiacciare tutti gli avversari politici. Da tener presente che la notizia era già nelle mani di Göring. In base al decreto del 28 febbraio, le notizie “false e tendenziose” (per esempio, l’affermazione che erano stati i nazisti e non i comunisti a incendiare la sede del parlamento) erano punite come tradimento e anche gli scioperi erano ritenuti attività sedizione (3). Ogni atto di resistenza al terrorismo nazista era ormai punito “per via legale” dai tribunali. La magistratura, già incline a entrarvi, veniva rapidamente assorbita nel nascente Stato totalitario (4). Il 28 febbraio il segretario del partito comunista, Ernst Torgler apprende dai giornali di essere sospettato di complicità nell’incendio. Si presenta alla polizia e viene arrestato. Il 9 marzo vengono arrestati Georgi Dimitrov, Blagoi Popov e Vassily Taney, tre comunisti bulgari emigrati in Germania. Nel processo l’attività istruttoria è svolta da un giudice della Corte suprema, Paul Vogt. Egli – seguendo le direttive che vengono dall’alto – non indaga sui nazisti, cioè sui più probabili autori dell’incendio, ma solo sui comunisti. Per ordine espresso di Vogt i detenuti sono tenuti in cella incatenati notte e giorno, per sei mesi” (pag 105-106) [Vincenzo Accettatis, ‘L’incendio del Reichstag e il processo. (Memoria come domani)’, Il Ponte, Firenze, n. 1, gennaio 2004 pag 104-111] [(1) Cfr. Ingo Müller, ‘Hitler’s Justice’, Cambridge, Mass., Harvard University press, 1991, p. 27; (2) Il rilievo è di I. Müller, op. cit., p. 28. Cfr. inoltre W.I. Shirer, ‘Storia del Terzo Reich’, Torino, Einaudi, 1990; p. 299 ss; K.P. Fischer, ‘Storia della Germania nazista’ Roma, Newton Compton, 2001, p. 312 ss; J.C. Fest ‘Hitler, Milano, Garzanti, 1999, p. 488 ss.; (3) I. Müller, op. cit., p. 51 ss.; (4) Per una più puntuale analisi del concetto di Stato totalitario cfr. V. Accettatis, ‘Magistratura e nazismo’, ‘Il Ponte’, n. 9, settembre 2003]