A scuola nei giorni in cui un decreto legge imponeva il giuramento di fedeltà al regime fascista

‘Bisognava stare attenti. In classe ci poteva essere il figlio di un gerarca o comunque un delatore che poteva creare notevoli guai. Valga come esempio quanto accadde nell’autunno del 1931 a Giuseppe Ugolini, professore di latino e greco al regio Liceo Dante, il quale – studioso intelligente, antifascista ed anima sinceramente religiosa – per insegnando materie classiche, ha educato generazioni di giovani al culto della libertà e dell’onestà intellettuale. Egli un giorno assegnò come compito la traduzione in latino di un brano della nota lettera con cui il Foscolo, al momento di partire per l’esilio si accomiatava dalla famiglia, essendosi rifiutato di giurare fedeltà al governo austriaco: «Tradirei la nobiltà del mio carattere, col giurare cosa che non potrei attendere e col vendermi a qualunque governo…». Il tema, del quale Ugolini non aveva detto chi fosse l’autore, fu portato a casa da un giovane, fra i più ciuchi della classe, il cui padre – pensando che fossero idee del professore – denunciò il fatto al federale fascista, che a sua volta fece ricorso al provveditore agli studi, il quale sospese immediatamente l’Ugolini dall’insegnamento ed invocò un’inchiesta ministeriale per espellerlo dalle scuole. Evidentemente nessuno si era accorto che si trattava di un brano del Foscolo, tolto da un libro di esercizi in uso nelle scuole. Conoscendo l’arguzia toscana e le idee politiche del personaggio, sono ben convinto che il tema fosse stato scelto non senza malizia: erano proprio i giorni in cui era apparso il decreto legge che imponeva ai docenti universitari il giuramento «di essere fedeli al re, ai suoi reali successori e al regime fascista». Ma, pur trattandosi di un brano del Foscolo, l’Ugolini rischiò la espulsione dall’insegnamento’ (pag 581) [Carlo Francovich, ‘L’antifascismo democratico fiorentino dal 1930 al 1943’, Il Ponte, Firenze, n. 6, 30 giugno 1980, pag 580-605]