“Da tre secoli ormai i Turchi minacciavano l’Europa, dopo aver dimostrato in Asia, a rincalzo degli Arabi e dei Tartari, una furia guerriera non minore. E ora miravano al cuore stesso dell’impero bizantino avanzando verso Costantinopoli dietro la bandiera del Profeta di cui avevano abbracciato la fede. Si sapeva, fra l’altro, che il corpo scelto dei Giannizzeri era in parte formato anche da giovani cristiani che il Sultano aveva ordinato di prelevare, uno per famiglia, e che si trovavano così assoldati fatalmente nelle file della religione musulmana. Grande dunque il terrore, ma non meno grande la divisione che regnava tra gli Occidentali. Niente di quello spirito che aveva per un momento unito i Greci duemila anni innanzi e consentito loro di tener testa a Serse e di cacciare per sempre i Persiani. Ma odio, diffidenza, rivalità commerciali esasperavano gli animi e ne indebolivano la resistenza. (…). I Bizantini in cuor loro si erano già arresi; come i lontani progenitori greci, anch’essi credevano ai presagi e tutto intorno a loro parlava di sconfitta. Il nome stesso dell’imperatore Costantino, il medesimo del fondatore della città, richiamava irresistibilmente il fato di Roma, caduta mille anni innanzi sotto un imperatore che ripeteva il nome del suo fondatore. Nel frattempo il senso di sgomento per la fatalità della fine imminente si allargava raggiungendo in Europa gli alleati più vicini. Genovesi e Veneziani, mercanti entrambi, più che a salvare Costantinopoli pensavano a salvaguardare i propri commerci tentando vie coperte per trattare coi Turchi in maniera da assicurare la permanenza in Levante ai propri empori. Genova, che pure aveva dato per la suprema difesa di Costantinopoli, il suo miglior capitano, Giustiniani, usò ogni mezzo per salvare la colonia di Pera, ottenuta duecento anni prima dall’Impero Latino d’Oriente nel corso della quarta crociata. A Venezia si discuteva se e in che modo aiutare gli assediati e quando si decise a farlo e finalmente le navi aprirono le vele verso il Bosforo, giunte a metà strada appresero che la città era ormai caduta in mano ai Turchi. Non crediamo di cedere a troppo eccessivo entusiasmo dicendo che con quest’opera Runciman (1) si colloca accanto ai maggiori storici del suo paese, ai Gibbon, ai Macaulay, ai Sysmonds, uomini di grande erudizione e insieme scrittori veri che sapevano come a volte il richiamo a un paesaggio, a un’ora del giorno, a un moto dell’animo bastino a dar vita a una scena e quasi illudere il lettore di esser presente” (pag 104-107) [(1) ‘The Fall of Costantinople, 1453’, Cambridge University Press, 1965] [Nina Ruffini, ‘La croce e la mezzaluna’, Nuova Antologia, Roma, n. 1993, gennaio 1967, pag 104-110]