“In quel periodo – anche se i suoi studi erano quelli elementari, rafforzati però dai corsi di formazione per ufficiali – il ruolo di funzionario sindacale gli impose di scrivere lettere e relazioni, attività che, una volta eletto deputato, nel maggio 1921, dopo dieci mesi passati in carcere, intensificò maggiormente (11). Possiamo ipotizzare, con ragionevolezza, che i suoi viaggi a Roma i contatti con alcuni esponenti del Partito socialista (ad esempio con Gaetano Pilati, allora deputato e segretario nazionale della Lega proletaria) o la frequentazione di esponenti dell’ex combattentismo di sinistra (come Giuseppe Mingrino, anch’egli deputato socialista) abbiano influenzato non poco le sue analisi e posizioni, tanto che, alla fine di giugno, iniziò a organizzare a Parma la sezione degli Arditi del popolo. Sempre più critico verso la dirigenza del Psi, dopo il «patto di pacificazione» tra socialisti e fascisti dell’agosto 1921, lasciò il partito e si avvicinò alle posizione del Partito comunista di Amadeo Bordiga, di cui chiese la tessera (12). Nonostante fosse parlamentare, in questi anni Picelli restava un leader di secondo piano nel complesso panorama del movimento operaio parmense. Altre erano le figure di spicco, come i più noti e autorevoli dirigenti del sindacalismo corridoniano o quelli del socialismo massimalista e riformista, da Alceste De Ambris ad Alberto Simonini e Giovanni Faraboli, solo per fare qualche nome. L’animatore degli Arditi del popolo di Parma aveva dunque la necessità di legittimare la propria organizzazione agli occhi dei lavoratori che lo avevano votato pochi mesi prima. È sotto questa luce che si devono leggere i suoi numerosi interventi sulla stampa locale tra l’estate del 1921 e quella del 1922, dove all’urgenza di denunciare la violenza fascista si accompagnava la promozione della strategia unitaria di difesa armata. Presto quei suoi articoli trovarono un’elaborazione più organica in ‘Unità e riscossa proletaria’, stampato nel giugno 1922, nel quale Picelli argomentava la necessità di organizzarsi militarmente per rispondere alla reazione della borghesia (…)” (pag 13-14) [‘Il percorso politico di Guido Picelli’ di William GAMBETTA, in Guido Picelli, ‘La mia divisa. Scritti e discorsi politici’, BFS, Pisa, 2021] [(11) Oltre gli articoli sui periodici “sovversivi”, sono di questo periodo molte lettere in risposta a cronache o commenti di quotidiani cittadini, come la “Gazzetta di Parma” o “Il Piccolo”; (12) Non è ancora chiaro l’anno della sua iscrizione al Partito comunista. Senz’altro la richiese una volta uscito dal Psi, nell’autunno del 1921, ma l’Esecutivo comunista gli impose la condizione delle sue dimissioni da deputato, che lui rifiutò. Da allora, e fino alla sua adesione formale nel 1924, fu tuttavia in stretto collegamento con il Pcd’I; cfr. F. Sicuri, ‘Il guerriero della rivoluzione’, cit., p. 147 e segg.]