“Ma i Termidoristi erano uomini ricchi di espedienti. Durante la giornata, s’eran già industriati di disarmare la collera degl’insorti facendo loro approcci. Aveva fatto abrogare il decreto del 6 floreale, che aveva autorizzato il commercio delle monete metalliche: tale commercio sarebbe stato proibito, come all’epoca del Robespierre. Era una promessa illusoria che non pensavano di mantenere e che si affrettarono a revocare dopo la rivolta. Un altro decreto ordinò il censimento generale delle farine e del pane. Poi, i Comitati avevano messo in giro la notizia che era stato firmato il trattato di pace con l’Olanda (1). Al popolo sembrava che la pace dovesse recar seco la fine di tutti i suoi mali. Quando i Comitati seppero della defezione dei cannonieri giocarono grosso. Promisero agli uomini di soddisfarli, protestarono le loro buone intenzioni, invitarono gl’insorti a inviare una delegazione all’Assemblea. Qui essa ricevette dal presidente Vernier, insieme a vaghe promesse, l’abbraccio fraterno. Gli insorti caddero nel tranello: ritornarono nei loro sobborghi senz’aver combattuto e senz’aver ottenuto altro che dei decreti sterili, delle promesse menzognere e un abbraccio ipocrita. Il 3 pratile, venivan presi i provvedimenti per circondare il sobborgo di Saint-Antoine. Nella notte eran giunti trecento soldati di cavalleria; uno dei distaccamenti era comandato da Joachim Murat, che si era fatto chiamare a lungo Joachim Marat. La «gioventù dorata» fu chiamata alle Tuileries, armata nella notte da generale Kilmaine e lanciata contro il sobborgo. Essa vi si avventurò con leggerezza, fu crivellata di frizzi. Avendo la ritirata tagliata da barricate, si dovette umiliare a chiedere il passaggio. I popolari ebbero la generosità di accordarglielo, ma fecero passare i moscardini uno alla volta attraverso un buco praticato in una barricata. Essi erano allegri, perché avevano appena liberato dalle mani della polizia il garzone fabbro Tinel accusato di aver ucciso il Féraud e che era già stato avviato alla ghigliottina. Il 4 pratile fu l’ultimo giorno della sommossa. I comitati fecero votare un decreto il quale ordinava alle tre sezioni del sobborgo di consegnare immediatamente alla giustizia l’assassino del Féraud e di consegnare egualmente i cannoni e le loro armi. Un’armata intera, al comando del generale Menou, si raccolse all’entrata del sobborgo: il quale fu minacciato di esser privato di pane se non si fosse sottomesso senza discussione. La minaccia fece effetto. Il sobborgo si arrese senza lotta, demolì le barricate, consegnò le sue armi e i suoi cannoni. Lo stesso giorno la Convenzione istituì una commissione militare destinata a compiere sommariamente la vendetta legale. Essa giudicò senza difese, senza rapporto né requisitoria. I cinque giudici che la componevano, tutti nominati dal Rovère , fecero quel che si attendeva da loro: pronunciarono numerose condanne a morte per motivi spesso futili. Le vittime illustri furono i sei deputati Romme, Duquesnoy, Du Roy, Bourbotte Soubrany e Goujon, condannati a morte per «aver cospirato contro la Repubblica, provocato la dissoluzione della Convenzione nazionale, l’assassinio dei suoi membri, tentato con tutti i mezzi di organizzare la rivolta e la guerra civile e di risuscitare tutti gli eccessi, tutti gli orrori della tirannide che precedettero il 9 termidoro». «Desidero – disse il Soubrany, ascoltando tale sentenza – che il mio sangue sia l’ultimo sangue innocente a scorrere. Possa consolidare la Repubblica!» (…)” (pag 271-273) [Albert Mathiez,’La reazione termidoriana’, Einaudi, Torino, 1950] [(1) Il trattato di pace era stato effettivamente firmato a L’Aja, dal Sieys e dal Reubell, il 27 floreale (16 maggio), ndt]