La guerra imminente. La questione dei carri armati pesanti (1939)

“Di fatto i tecnici della Fiat, sulla base dell’esperienza in Etiopia, ma anche in Spagna, sul materiale inviato dai tedeschi e dai russi, si erano preoccupati nel settembre 1939 di stendere un inventario dell’armamento italiano nel campo dei mezzi corazzati e degli autotrasporti. Ne erano venute fuori valutazioni estremamente scoraggianti. Per cominciare, i carri d’esplorazione, presi in esame dal Ministero della Guerra nel lontano 1928 e modificati nel 1935, dovevano considerarsi superati sotto tutti gli aspetti, quanto ai carri di rottura e di accompagnamento per la fanteria, il materiale era meno decrepito (i capitolati d’appalto risalivano al 1937), ma era già stata una fatica far accettare allo stato maggiore una modifica di peso di otto tonnellate. Oltretutto, i reparti che li avevano avuti in dotazione non erano motorizzati che in minima parte e le commesse passate alla Fiat non erano andate più in là di un centinaio di unità, ripartite in dieci esemplari al mese. In sostituzione del carro leggero da tre tonnellate, armato di mitragliatrice e difeso da una corazza che arrestava solo il tiro della fucileria, la famosa «scatoletta di sardine», la Fiat-Ansaldo aveva proposto nel settembre 1938 un carro di cinque tonnellate, meglio munito e protetto; ma il progetto era stato respinto e, poiché le due aziende avevano continuato a proprie spese a costruirne dei campioni, il ministero della Guerra era intervenuto per autorizzarne la fabbricazione soltanto per la richiesta dei governi esteri! Quanto ai carri medi, l’andamento delle operazioni belliche in Spagna aveva dimostrato – secondo i dirigenti della Fiat – la necessità di aumentare tonnellaggio, velocità e protezione dei carri. Ragion per cui Agnelli aveva pensato di accantonare il carro M. 11 per proporne un altro, l’M. 13 da 14 tonnellate e mezzo. Ma come per il carro L. 6, così anche per quest’ultimo modello non era stata presa alcuna decisione da parte dell’autorità militare, che aveva preferito risparmiare soldi e scorte di benzina. Ma le note più dolenti cadevano a proposito dei mezzi pesanti, per via – così si legge nel documento della Fiat – dell’«ossessione del ponte militare in dotazione al Genio Pontieri, che ha contenuto il tonnellaggio dei carri armati»; né del resto erano mutate le vetuste concezioni di una guerra alpina, di semplice posizione. Ferma era rimasta anche la produzione di autoblindo-mitragliatrici, i cui campioni erano pur stati allestiti nel secondo semestre del 1937: alcuni esemplari erano finiti alla polizia coloniale, ma l’iniziativa non aveva avuto altri sviluppi. In conclusione, al settembre 1939 la Fiat aveva in corso di produzione per l’esercito italiano un solo tipo di carro armato, l’M 11, che sarebbe uscito dalle officine soltanto nella tarda primavera del 1940. Quanto all’autotrasporto militare, la situazione non era meno arretrata, dato che decine di milioni continuavano ad essere spesi a foraggiare e custodire un vastissimo parco di «trazione animale». Soltanto dopo ripetute pressioni di Balbo si era evitato di imbarcare per la «quarta sponda» vecchi automezzi, buoni tutt’al più per le strade alpine, con motori che si usuravano dopo 2.000 km. e con ruote che si insabbiavano appena fuori dalla litoranea” (pag 582-583) [Valerio Castronovo, ‘Giovanni Agnelli, Utet, Torino, 1971]