PELLEGRINO Dino, Vajont: i riguardi della giustizia. (La vita politica) L’ ASTROLABIO, MENSILE, DIRETTORE FERRUCCIO PARRI ROMA, N. 22, 2 GIUGNO 1968, pag 12-13; [‘Era una costruzione impiantata nel più inadatto dei posti, se è vero che un geologo della Sorbona, il prof. Boyet, già molto tempo prima che l’opera venisse progettata indicava ai suoi allievi la gola del Vajont come il posto classico per non costruirvi dighe. A costruire, con i crismi delle autorità patrie, lo sbarramento idroelettrico doveva invece provvedere la SADE, uno dei dinosauri elettrici del paese, controllato dai ras della finanza veneta. Ci si doveva accorgere dopo che era stato un grosso errore tecnico, anche se l’ideatore, prof. Carlo Semenza, era un idraulico di fama mondiale. «Potranno cadere tutte le montane delle Alpi – egli aveva detto il giorno dell’inaugurazione – ma la diga resterà in piedi». Il problema era invece quello della franosità del terreno: quanti metri cubi di roccia sarebbero potuti piombare nell’invaso senza far superare dall’acqua i limiti di sicurezza? Una situazione assurda. La SADE doveva essere poi espropriata dall’ENEL, con la nazionalizzazione dell’energia elettrica; in quell’occasione veniva sottoscritto il verbale di trasferimento anche dell’impianto del Vajont considerato – contro il vero, dato che tra l’altro non era stato effettuato il collaudo della diga – un bene elettrico in regolare esercizio.
La Società voleva riscuotere l’indennizzo e naturalmente nessuno dei suoi uomini sognava di riconoscere che l’opera mancasse delle qualità essenziali ai fini della produzione elettrica. All’ENEL passavano anche il personale e i dirigenti SADE; si creava una situazione assurda per la doppia personalità assunta da alti papaveri che avrebbero dovuto fare il processo a se stessi nell’interesse dello Stato. Solo i ‘big’ della Società possedevano complete informazioni sulla consistenza della frana: il principale imputato al processo, l’ing. Biadene, ignorava praticamente gli organi ministeriali di controllo non comunicando i dati dei movimenti di terra. Accusa Biadene, tra l’altro, una lettera da lui scritta l’8 ottobre all’esperto geologico della Società: ti consiglio di rientrare in sede «perché la situazione su al Vajont si è aggravata e le fessure sul terreno fanno pensare al peggio». La missiva contiene anche un interessante ‘post scriptum’: «mi telefona in questo momento il geom. Rossi che le misure di questa mattina mostrano segni ancora maggiori di quelle di ieri raggiungendo una maggiorazione del 50! Si nota anche qualche caduta di sassi nel bordo ovest (verso diga) della frana. Che iddio ce la mandi buona». Ma l’uomo non vuole assumere neppure la responsabilità di avvertire le autorità di Belluno, perché facciano sgombrare i valligiani. Scoppia, a dodici ore di distanza, «la più grande tragedia degli ultimi anni».
Un processo al regime? Naturalmente la SADE sostiene «la imprevedibilità, la eccezionalità e la repentinità» del disastro del Vajont riempiendo varie stanze del Tribunale di Belluno con tonnellate di carte memoriali, perizie e testimonianze di discolpa. Bisogna difendersi dal rischio di vedere trasformato un fatto di cronaca nel processo ad un intero regime Si vuole una nuova farsa, dopo quelle dell’inchiesta amministrativa e parlamentare che hanno praticamente rivelato l’importanza o la connivenza dell’apparato politico-amministrativo di fronte al gioco delle tre carte ideato nei pensatoi dell’industria monopolistica. Sono in ballo centinaia di miliardi, complicità politiche ad alto livello, la rispettabilità di insigni accademici. Per le perizio di accusa il Comune di Longarone si vede costretto a ricorrere a esperti jugoslavi, francesi, cecoslovacchi’ (pag 12-13)] [ISC Newsletter N° 96] ISCNS96TEC [Visit the ‘News’ of the website: www.isc-studyofcapitalism.org]
PELLEGRINO-D. ITALIA DISASTRO VAJONT PRE-ASSOLUZIONE SENTENZA ASSOLUTORIA MAGISTRATURA IMPUTATI DA PARTE GIUSTIZIA RAPPORTI CON REGIME GOVERNO DC Q VITTIME PRESSIONI GRUPPO SADE ENEL