La qualità dei piloti tedeschi nei combattimenti aerei del 1944

“I tedeschi, dunque, contrariamente ad ogni previsione, erano in condizioni di mantenere, nonostante i bombardamenti, un ritmo sollecito di produzione, qualcosa come duemila velivoli al mese. Ai tedeschi, dunque, non mancavano gli apparecchi buoni. Che cosa valevano i piloti che li portavano al combattimento? Erano pari al compito massacrante che incombeva loro? Sebbene sia un argomento più delicato, anche a questa domanda si può dare una risposta. Sembra che nella ‘Luftwaffe’ non vi fossero mezzi termini e che si potessero dividere i piloti tedeschi in due categorie ben distinte: 1) gli assi, cioè, il quindici o venti per cento degli effettivi: piloti realmente superiori alla media dei piloti alleati; 2) il resto, che non valeva gran che: molto coraggiosi, ma incapaci di trarre partito dai loro apparecchi. La differenza era soprattutto dovuta alla precipitazione con la quale venivano gettati nella mischia i nuovi equipaggi di volo, in conseguenza delle gravi perdite subite nella battaglia di Gran Bretagna e nella campagna di Russia. Addestramento troppo rapido, poco omogeneo, in cui veniva data una smisurata importanza alla forza morale, alla dottrina della grande Germania e a teorie puramente militari, a detrimento dell’istruzione tecnica propriamente detta. A questi difetti s’aggiunse, a partire dalla fine del 1943, una grave penuria di carburante. V’era così, e si consumava lentamente nella fornace dei cieli d’Europa, l’eroico drappello dei «vecchi della vigilia» duri a morire, con le loro tre o quattromila ore di volo. Piloti formatisi alla scuola della guerra di Spagna, sopravvissuti alle campagne successive della ‘Luftwaffe’ dal 1940 in poi, conoscevano a fondo il mestiere con tutte le sue malizie. Prudenti e sicuri di sé a un tempo e padroni delle loro macchine, erano veramente pericolosi. Dall’altro lato, i giovani fanatici, dal morale elevato, ma tenuti a freno da una disciplina di ferro, erano, in varie circostanze, prede relativamente facili nel combattimento. Comunque sia, lo ‘standard’ dei piloti da caccia tedeschi era, alla fine del 1944 e al principio del 1945, superiore a quello di qualsiasi epoca dopo il 1940. Questo fatto può spiegarsi soltanto, a parte i valori puramente morali, come la difesa della madrepatria, eccetera, con la precedenza assoluta che le unità scelte della caccia avevano nelle assegnazioni di benzina e lubrificanti. Noi avevamo dunque forti probabilità di scontrarci in combattimento solo con piloti molto esperimentati, mentre nel 1942, 1943 e al principio del 1944 la rotazione dei piloti dal fronte ovest al fronte sovietico ci metteva spesso a contatto con unità di valore mediocre, concentrate più tardi solo sul fronte orientale. Infatti per la ‘Luftwaffe’ il fronte russo era un luogo di riposo nel quale la quantità superava la qualità, mentre le migliori formazioni erano tenute in serbo per opporle alla RAF e proteggere le città tedesche contro i bombardamenti diurni americani. Questa era, ‘grosso modo’, lo stato generale della ‘Luftwaffe’ negli ultimi giorni del 1944. La superiorità numerica alleata non poteva contare che sulle riserve, non essendovi aeroporti in numero sufficiente per ospitare, a ragionevole distanza dal fronte, più d’un migliaio dei velivoli da caccia e d’assalto che costituivano l’ottantatreesimo e l’ottantaquattresimo raggruppamento della III Forza Aero-Tattica. La ‘Luftwaffe’, per contro, abilmente disseminata su un centinaio di piccoli aeroporti raggruppati intorno alle grandi basi maggiori del triangolo Arnheim-Osnabruck-Coblenza, poteva operare in forza. I ‘Messerschmitt 262’ potevano spingersi impunemente in ricognizioni tattiche su tutto il fronte alleato, e rivedemmo delle formazioni tedesche importanti fino a cento apparecchi qualche volta, mitragliare e bombardare di giorno in picchiata le nostre truppe e i convogli” (pag 186-187) [Pierre Clostermann, ‘La grande giostra’, Longanesi, Milano, 1965]