“Dalla parte dei fascisti italiani, lo stesso basso burocratismo caratterizzò quei due giorni di marzo. Il questore Caruso, uomo privo di ogni senso morale, in quella sera del 23 marzo spedì i suoi uomini in giro ad eseguire arresti e saccheggiare le case di via Rasella, per nessun’altra ragione, a quanto egli stesso confessa, se non per «dimostrare che anche noi stavamo compiendo indagini…» (3). E non fu certamente per spirito d’iniziativa che egli la mattina dopo si recò a trovare Buffarini-Guidi. Egli, semplicemente, voleva dallo Stato l’autorizzazione che lo avrebbe scaricato dal peso di quella «grande responsabilità» che Kappler intendeva addossargli. «Avendo ottenuto questa autorizzazione, o piuttosto questo ordine, – disse più tardi Caruso, – io mi sentii sollevato». (1). Dopo aver «legalizzato» i propri atti, Caruso lasciò che i suoi uomini facessero a modo loro l’esperienza di queste ansie burocratiche. Interrogato al processo Caruso intorno alla lista preparata dal questore, il commissario Alianello disse: «La lista era un ordine… ed io ero soltanto un messaggero». Dopo che Carretta e lui stesso ebbero sostituito i nomi dei prigionieri che i tedeschi avevano preso a casaccio per superare un assurdo punto morto: «Carretta mi disse: “Poiché alcuni nomi sono stati cambiati, mettere la vostra firma”. Io risposti che non avevo nessuna autorità ufficiale e mi rifiutai» (2). Con questi metodi, la macchina procedeva verso il massacro. L’impulso che portò all’eccidio delle Ardeatine avrebbe potuto essere arrestato in qualsiasi momento durante le ore intercorse fra le 4 pomeridiane del 23 e le 8 pomeridiane del 24 marzo, quando venne fucilato l’ultimo uomo. Il metodo che si poteva usare per prevenire il massacro era relativamente semplice. Ne conosciamo un infinito numero di precedenti a tutti i livelli delle relazioni umane. In realtà ne abbiamo visto un esempio eccellente nelle pagine precedenti. Quando il generale Karl Wolff arrivò a Roma nel pomeriggio del 24 marzo, egli era fermamente intenzionato a dare esecuzione all’ordine di Himmler per l’esodo forzato della popolazione maschile di Roma, avvenimento che sarebbe stato fra i più inauditi e drammatici del ventesimo secolo. Sotto molti aspetti, la genesi e lo sviluppo di questo progetto procede in parallelo coll’eccidio delle Ardeatine. Nacque dallo stesso scoppio di collera. Se avesse avuto esecuzione, i tedeschi vi avrebbero impiegato lo stesso personale e l’identico meccanismo burocratico che portò a compimento l’eccidio. Il progetto di deportazione prevedeva però un’attuazione più decisa e risoluta. A differenza dell’eccidio, l’evacuazione era stata studiata precedentemente a Roma ed era giustificata da motivi militari e politici (cioè, scarsità di mano d’opera al nord, difficoltà nell’approvvigionamento alimentare di Roma, operazioni anti-partigiane). Nonostante questi motivi, l’esodo non ebbe luogo, non già perché fosse sbagliato o inattuabile – e tale era, con tutta probabilità – ma soltanto perché venne ‘rinviato'” (pag 240-241) [Robert Katz, ‘Morte a Roma. Il massacro delle Fosse Ardeatine’, Editori Riuniti, Roma, 1971] [(3, p. 240) Interrogatorio in istruttoria di Caruso, 9 agosto 1944, in ‘Atti Caruso’, p. 66; (1, p. 241) Testimonianza di Caruso, 20 settembre 1944, in ‘Ivi’, p. 137; (2, p. 241) Testimonianza di Alianello, 20 settembre 1944, in ‘Ivi’, p. 168]