La Commissione d’Epurazione, Valletta e il silenzio del Pci

“Il comportamento di Valletta fu quello di un normale imputato: sottolineare tutte le circostanze sfavorevoli, citare i testimoni più opportuni. Nessuno dei commissari, viceversa, fece ricorso a documenti acquisiti negli archivi Fiat che potessero in qualche modo mettere in difficoltà l’imputato. Lo stesso Valletta fu stupito della cortese equità manifestata dalla Commissione, alla quale non faceva certamente difetto la capacità di valutare il suo caso tenendo nel giusto conto quanto stava accadendo alla Fiat e nel paese. Il 28 agosto comincia la sfilata dei testi, che durerà fino alla fine di novembre. Si tratta di dirigenti, funzionari e operai della Fiat. Sono tutti unanimemente d’accordo nello scagionare Valletta dall’accusa di collaborazionismo. Alcuni lo accusano di aver favorito i fascisti nell’attribuzione di determinati posti, oppure gli imputano comportamenti a danno dei lavoratori: i termini delle contestazioni sono, comunque, talmente generici da assumere ben scarso rilievo nel corso del procedimento. I testi sminuiscono anche l’importanza della XVIII Novembre: «i dipendenti della Fiat consideravano la XVIII Novembre come un sistema di imboscamento e ne approfittavano per non fare il servizio militare». (…) Tra i testi compare anche Teresio Guglielmone, che è in quel momento membro della Commissione Economica del CLN. Proclama Valletta «nemico del capitalismo» e ricorda gli aiuti ai partigiani richiesti da Alfredo Pizzoni, presidente del CLN dell’Alta Italia, «dato il ritardo con cui il governo italiano inviava i finanziamenti». Emergono anche i vari espedienti con cui la Fiat ha salvato dai campi di concentramento in Germania quasi 3.000 persone, tra cui i rastrellati della Val di Susa del giugno 1944. I fatti ricordati dai venticinque testi erano e sono ampiamente verificabili. Ma a parte il loro contenuto escusatorio, il dato più significativo è la distribuzione «politica» delle testimonianze: tra i testi ci furono molti democristiani, qualche azionista, qualche socialista, ma nessun comunista. Nessun militante del Partito Comunista si sentì in dovere di contestare le affermazioni di Valletta o di ripetere le accuse di pochi mesi prima. Non si sentì nessuno, come ci si poteva ragionevolmente attendere, che si preoccupasse di smentire le affermazione di Benedetto Rognetta secondo cui, «negli ultimi giorni il Partito Comunista mandò a chiedere un aiuto extra per poter organizzare le Squadre d’Azione Partigiane» (erano le stesse squadre che vennero a fargli visita a casa il 4 di maggio), alle quali Valletta concesse 5 milioni. Nessun esponente o militante di Partito volle sollevare un dubbio o avanzare una richiesta di chiarimenti sui «contatti diretti» che Valletta affermava di aver avuto con Cino Moscatelli, il comandante garibaldino della Valsesia. Eppure il rappresentante comunista nella Commissione continuava a chiedere istruzioni al Partito e ad informarlo sull’andamento del processo. Tutta fa credere che ci fosse una precisa consegna da rispettare, che si poteva riassumerein due parole: silenzio assoluto. In seno al Comitato Centrale comunista, il problema suscitò un dissidio tra Secchia e Togliatti che fu poi risolto nel senso desiderato dal Segretario comunista” (pag 144-147) [Piero Bairati, ‘Vittorio Valletta’, Utet, Torino, 1983]