“Ma la grande questione in cui ha subito modo di inverarsi la tesi dell’indipendenza a tutti i costi del Pcd’I è quella degli «Arditi del popolo». Questi costituivano un’organizzazione affacciatasi sulla scena politica nel marzo del 1921, ma nata ufficialmente soltanto ai primi di luglio, avente lo scopo di arginare la violenza fascista contrapponendogliene una di popolo. L’iniziativa non aveva trovato eco neppure tra i partiti proletari. Il Psi era stato contrario, perché favorevole alla non-violenza, alla «resistenza passiva» al fascismo; ma contrario era stato pure il Pcd’I, anche se i suoi militanti non avevano seguito la deliberazione del «centro» scrivendo, con gli Arditi del popolo, tra il luglio del ’21 e quello del ’22, importanti pagine di lotta antifascista di massa. Capo del movimento antifascista armato fu Argo Secondari, ex ardito, dannunziano, non certo marxista. Questi, il 12 luglio, aveva rilasciato un’intervista all”Ordine Nuovo’, nella quale metteva in luce appunto tali sue matrici ideologiche e, tra l’altro, tendeva a restringere i compiti dell’organizzazione in precisi confini democratici: ritorno alla non-violenza tra le classi, da garantire – come scopo – escludendo correnti politiche organizzate tra gli Arditi del Popolo. Nonostante tali limiti l’organizzazione suscitò entusiasmo nella base proletaria e vide un certo afflusso di elementi provenienti soprattutto dal combattentismo democratico e dall’anarchismo. Gramsci guardò all’iniziativa con una certa simpatia. Terracini, allora legatissimo a Bordiga, stigmatizzò la nuova organizzazione in modo durissimo, intendendola, in un articolo su ‘La Correspondance internationale’, come una semplice manovra di Nitti contro Giolitti (11), sorta di tentativo di disarmo di una milizia borghese di destra da parte di una borghese di sinistra, per promuovere un governo puramente democratico. Egli ribadì, in sostanza, il sospetto di una permanente insidia di centro-sinistra da parte di Nitti, conformemente a una linea manifestata esplicitamente da Bordiga soprattutto dal ’19 in poi, quando questi aveva interpretato in tal senso le prime elezioni politiche del dopoguerra, dapprima motivando la proposta di disertarle, e poi commentandone i risultati (12). Il fatto che tale settarismo sia legato, come si è rilevato nel manifesto del 6 marzo, alla falsa convinzione, inizialmente anche del PSI, per cui la borghesia colpiva violentemente perché era nella sua crisi finale, alla maniera di una fiera ferita a morte, non attenua la portata dell’errore, ma, semmai, l’aggrava con un’analisi errata sullo stato politico del capitalismo. Va anche notato che Terracini tenderà a ribadire quella scelta contro l’adesione all’arditismo popolare, negandola da un lato e affermandola dall’altro, ancora in un’intervista del ’70 (13). Bordiga chiarisce il proprio punto di vista attraverso uno sforzo di analisi non certo di poco conto, in un lungo articolo in tre parti del luglio 1921, ‘Il valore dell’isolamento’. Bordiga inserisce il problema in quello più generale della situazione politica e dell’attitudine di tenere, come PCd’I, verso i diversi raggruppamenti politici. Egli, intanto, ammette che si è in presenza di una fase di difficile interpretazione, nella quale si assiste certamente a un mutamento nelle istituzioni dello Stato. In tale situazione c’è una notevole confusione a sinistra. Le forze politiche che si dicono rivoluzionarie – di matrice anarco-sindacalista, socialista, comunista – sono troppe, e così finiscono con l’ottenebrare l’antitesi generale tra due sole forze fondamentali, tipica di ogni crisi veramente rivoluzionaria. Segue una delle tante e gravi dichiarazioni che denotano la sottovalutazione del fascismo da parte di Bordiga: «Ripetiamo un nostro netto concetto dicendo che non crediamo alla possibilità del colpo di Stato di ‘destra’, della rivoluzione a rovescio, che ci regali un regime ‘peggiore’ di quello monarchico e parlamentare che godiamo. Questo ridicolo spauracchio è stato troppe volte agitato da demagoghi di tutti i colori, perché si possa prenderlo sul serio»” (pag 199-201) [Franco Livorsi, ‘Amadeo Bordiga. Il pensiero e l’azione politica, 1912-1970’, Editori Riuniti, Roma, 1976] [(11) U. Terracini, ‘Les “Arditi del popolo”‘, in ‘La Correspondance internationale’, n. 24, 1921, p. 192; (12) Cfr. soprattutto l’art. di Bordiga ‘La situazione italiana e il socialismo’, in ‘Il Soviet’, n. 1, 4 gennaio 1920; (13) S. Zavoli, ‘Nascita di una dittatura’, cit., pp. 99-100]