Guerra: dall’ancien regime alle guerre napoleoniche

“Una profonda trasformazione nell’immagine moderna della guerra prende avvio con la Rivoluzione francese per svilupparsi nell’Ottocento con le guerre di liberazione nazionale. La guerra non è più un affare di Stato, ma del popolo, che partecipa direttamente ai conflitti su più piani. Da un lato, infatti; il popolo diventa il soggetto della leva della leva obbligatoria di massa per la costituzione degli eserciti regolari non più formati esclusivamente da professionisti e mercenari; dall’altro, inizia a organizzarsi come comunità di lingua, cultura e tradizione che intende costituirsi in nazione attraverso i movimenti rivoluzionari condotti contro i governi dell”Ancien Régime’; infine; diventa soggetto ‘passivo’ delle guerre, in quanto sempre più i conflitti bellici giungono a coinvolgere, con i loro effetti devastanti, la popolazione civile. Questo mutamento della guerra implica la discussione di un principio che aveva contribuito alla naturalizzazione del conflitto in età moderna, quello di non discriminazione morale tra gli attori della guerra. Sul piano teorico tale rischio viene immediatamente notato da Clausewitz che mira a ricomporre la frattura tra la guerra come affare di Stato e la guerra come affare di popolo, frattura che già Hegel e Fichte avevano individuato come conseguenza delle guerre napoleoniche. E’ soprattutto Fichte, nel ‘Reden an die Deutsche Nation’ (1808), ad abbandonare l’ideale repubblicano e cosmopolitico della «pace perpetua» di Kant e a completare la svolta verso il nazionalismo chiamando la Prussia al riscatto contro l’invasione napoleonica e lanciando un appello ai tedeschi per giungere all’unificazione politica della Germania e alla creazione di un nuovo impero fondato ‘organicamente’ sulla comunità di lingua, cultura e costumi. Nonostante la sua grandiosità sistematica, l’ipotesi di Clausewitz viene smentita dagli avvenimenti successivi, che vedono un nesso sempre più stringente – per esempio in molti sostenitori dell’imperialismo e del darwinismo sociale – tra guerra, identità nazionale e ideologia politica. Del resto, è lo stesso Clausewitz, almeno in parte, a essere consapevole di questa possibile ‘deriva’, che non riguarda la distinzione tra guerre limitate (quelle combattute durante l”Ancien Régime’) e guerre di abbattimento (quelle rivoluzionarie e napoleoniche). Di fronte alla realtà classica della guerra tra Stati (sancita dalla pace di Westfalia del 1648 e successivamente incarnata dalla «teoria dell’equilibrio» tra le potenze europee) Clausewitz intravede infatti l’affermarsi di un nuovo tipo di guerra: la guerra partigiana, o guerriglia (la cui prima emergenza storica si ha con le rivolte spagnole di fronte alla dominazione napoleonica)” (pag 25-26) [Carlo Altini, ‘La politica della guerra in Clausewitz. Tra distinzioni concettuali e trasformazioni storiche’, ntroduzione, (in) Carl Clausewitz, ‘Sulla guerra. Testi scelti’, Edizioni della Normale, Pisa, 2024]