L’incontro dei due imperatori nei ricordi di un vecchio soldato

“Dopo aver marciato tutto il giorno, si arrivava al bivacco in serata e non si smontava da cavallo finché non erano formate le gran guardie. Le prime cure di un cavaliere erano per il suo cavallo; poi gli uomini designati partivano per il saccheggio. Si rientrava al campo sfiniti dalla fatica e dal sonno senza poter soddisfare questo imperioso bisogno; all’alba era necessario risalire a cavallo per ricominciare lo stesso tran-tran. È probabilmente da attribuire alla stanchezza e all’acqua cattiva che bevevamo, il gran numero di malati che abbiamo avuto dopo questa memorabile campagna di venticinque giorni. Infine, arrivammo di fronte a Tilsit. La retroguardia russa aveva bruciato il ponte sul Niemen e prendemmo possesso della città. Il giorno dopo l’imperatore ci raggiunse insieme alla sua guardia. Noi evacuammo allora la città per andare ad accamparci lungo la riva prussiana dello Niemen. Gli ussari neri prussiani erano accampati sulla sponda opposta, proprio di fronte a noi; non essendo molto largo, il fiume ci consentiva di parlare con loro e di farci capire. Fu uno dei loro ufficiali che facendo il suo giro e passando davanti a me che ero di vedetta sulla riva, mi informò in buon francese che era stato appena firmato un armistizio. La notizia ci fu confermata la sera stessa da un ordine del giorno. L’incontro dei due imperatori avvenne sulla famosa zattera, e la pace pose fine a questa bella campagna del 1807 con la quale avevo iniziato la mia carriera di soldato. Che tempi! Che ricordi! La nostra brigata era acquartierata nella città di Gumbinnen e nei villaggi circostanti. La lasciammo alla fine di luglio, attraversammo di nuovo la Vistola a Marienwerder e ci dirigemmo, passando per Danzica, nella Pomerania prussiana, dove avevamo per quartieri le città di Slawa, Treptow, Demmin e Koslin. Verso la fine di ottobre fui designato insieme al mio amico Brival per passare alla compagnia d’élite, nonostante la nostra giovane età e il breve stato di servizio. Fu una grande soddisfazione per la nostra autostima; indossare il simbolo della granata sul colbacco di pelo d’orso ci faceva sentire importanti. Lasciai però con grande rammarico il mio vecchio camerata Cibois che, per più di un anno, mi aveva fatto da padre, circondandomi di affettuose attenzioni, aiutandomi nei difficili turni di servizio e, vero mentore, preservandomi dalle insidie che l’inesperienza avrebbe potuto farmi incontrare. Questo prezioso compagno fu una delle vittime della terribile campagna del 1812” (pag 34-35) [Giovanni Timoteo Calosso, ‘Memorie di un vecchio soldato’, Edizione Amazon Logistica, Torino, 2021; a cura e traduzione di Davide Bosso; tra la bibliografia del traduttore: ‘Quelli che non vollero ritornare, i chiavassesi naturalizzati francesi dopo Napoleone’, in Studi Chiavassesi, vol. 8, Chivassi, 2017]